L’alluminio sotto i livelli del 2016 all’LME

La sovrapproduzione del primo trimestre affossa il prezzo

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LME Non Ferrosi Determinanti dei prezzi

Ad aprile la quotazione mensile in dollari dell’alluminio primario quotato al London Metal Exchange scende al di sotto dei livelli del 2016, toccando i 1455 dollari per tonnellata, dopo aver subito una perdita di valore del -9,7% rispetto a marzo e del -21,3% rispetto ad aprile 2019. Livelli così bassi erano stati raggiunti solo dopo che la crisi finanziaria del 2007 innescò quella economica, poi realizzatasi tra il 2008 e l’inizio del 2009.

Quotazione Alluminio primario e secondario spot (LME)

Quotazione Alluminio primario e secondario spot (LME)

Anche il prezzo dell’alluminio secondario (leghe di alluminio) ha toccato livelli di minimo da quando è stato quotato a Londra, toccando quota 1163 dollari per tonnellata, scendendo addirittura al di sotto del minimo dello scorso settembre. Entrambi hanno iniziato la recente ed importante flessione tra gennaio e febbraio, parallelamente allo scoppio dell’epidemia in Cina, diventata poi pandemia mondiale. Da gennaio ad aprile l’alluminio primario ha perso il 18% mentre le leghe hanno perso il 16% del loro valore.

A causare la crisi del prezzo dell’alluminio ci sarebbe la sovrapproduzione. Come riportato da Reuters in un articolo di qualche giorno fa intitolato “RPT-COLUMN-New aluminium crisis looms as output rises in demand void: Andy Home”, secondo l’International Aluminium Institute, nel primo trimestre del 2020 la produzione di alluminio è aumentata del 2,1%. Il problema riguarda la debolezza della domanda, che non è cresciuta insieme alla produzione ma anzi ha subito una fortissima frenata a causa del virus e del blocco di alcuni comparti fondamentali per questa commodity, come l’automotive. A differenza dell’alluminio, la produzione degli altri metalli è rallentata in seguito ai lockdown e dunque alla sospensione dei lavori nelle principali miniere, come descritto in un precedente articolo, bilanciando il rallentamento della domanda e impedendo il crollo dei prezzi. Ciò non è valso per le fonderie di alluminio che, nonostante i blocchi alle attività, hanno continuato a produrre perché ritenute strategiche, come avvenuto in Sudafrica. Secondo Reuters, la reazione dei prezzi alle variazioni della domanda è troppo repentina per essere recepita dall’offerta: alcuni produttori stanno ancora reagendo ai bassi prezzi dell’anno scorso invece che all’attuale shock della domanda “da coronavirus”. Il Bahrain sarebbe tra i principali player che hanno aumentato la capacità produttiva rispetto all’anno scorso (+11% su base annua nell’area del Golfo). Anche la Cina, primo produttore mondiale, ha aumentato la produzione di alluminio del 2,2% nel primo trimestre di quest’anno, nonostante tutti i blocchi imposti da Pechino.

Il settore dell’alluminio risulta assai rigido rispetto alle variazioni del prezzo. I motivi risiedono negli alti costi e tempi di avviamento e spegnimento delle fonderie. Inoltre, trattandosi di lavorazioni energivore, spesso le fonderie si avvalgono di contratti di fornitura a lungo termine che prevedono penali nel caso di riduzione dei consumi. Infine, l’alluminio, a differenza del petrolio, è facile da stoccare e può essere tenuto in magazzino in attesa della ripresa dei prezzi.