Prezzi del petrolio: ulteriori tensioni all’orizzonte

Libia e Iran fanno muovere i prezzi del greggio

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Le quotazioni del petrolio si trovano entrambe in backwardation: la forchetta tra i due prezzi si amplia costantemente – sostenuta dai maggiori rialzi dello spot rispetto a quelli del future.
A fine marzo il WTI è entrato in backwardation e da allora lo spot è aumentato del +8.5% arrivando a 64 dollari al barile venerdì scorso. Nello stesso periodo, il future è aumentato del +5% toccando i 62 dollari al barile – il disallineamento ha portato ad un differenziale di 2 dollari.
Come si vede al grafico di PricePedia, il Brent è in backwardation dall’inizio del 2019: lo spot è aumentato del 28%, passando da 56 a 72 dollari al barile di venerdì, mentre il future è aumentato del +12%, da 58 a 65 dollari al barile. Gli aumenti dello spot si sono inaspriti particolarmente nel mese corrente, tanto che il differenziale ha raggiunto 7 dollari.

Prezzo giornaliero del petrolio sui mercati finanziari
Brent Prezzo giornaliero del petrolio Brent
WTI Prezzo giornaliero del petrolio WTI
 

L’aumento dei prezzi è sostenuto da una contrazione dell’offerta globale, dovuta a:

  • le tensioni in Libia, che potrebbero causare nei mesi successivi una riduzione della produzione. Se così fosse questa sarebbe una prima battuta di arresto per l’offerta di petrolio libica, in crescita da due anni;
  • una diminuzione delle scorte di shale oil americano (-0.1%), come riportato dall’ Energy Information Administration (EIA)
  • le restrizioni dell’export di petrolio iraniano (-6% nel 2018) a causa delle sanzioni USA.

La settimana scorsa Reuters segnalava una riduzione dell’interesse da parte degli acquirenti nel comprare petrolio iraniano a causa di possibili future pressioni da parte degli USA su Teheran. Tensioni che si sono effettivamente materializzate questa settimana: gli USA hanno deciso di non rinnovare le deroghe per i paesi che potevano acquistare petrolio iraniano senza incombere in sanzioni (tra questi paesi c’è anche l’Italia).

La settimana scorsa si è segnalato che l’Arabia Saudita è il paese produttore più importante nell’OPEC (per ulteriori approfondimenti si guardi al seguente link). Saudi Aramco (1), in particolare, sta facendo degli investimenti per espandere il suo potere nella filiera post produttiva del petrolio. Nei mesi precedenti ha acquistato la raffineria sudcoreana Hyundai Oilbank per un valore di 1.2 miliardi di dollari e ha acquistato Sabic (2), un gigante nel settore petrolchimico. Inoltre, in quest’ultimo settore, Saudi Aramco sarebbe interessata a rilevare una quota del 25% dell’industria indiana Relianca Industry – notizia esclusiva del Times of India.
Nell’aria c’è molto fervore per questo investimento, poiché la domanda di petrolio indiano è in crescita. Nel 2018 le importazioni di petrolio sono aumentate del +8%. L’EIA stima che nel 2019 il consumo giornaliero di petrolio in India aumenterà del +4.2%, segnalando un ritmo di crescita nettamente superiore al consumo del più grande importatore di petrolio saudita: il Giappone. La domanda nipponica di petrolio è in flessione dal 2014 (nel 2019 la domanda è stimata ridursi ulteriormente del -3%), per cui è probabile che l’Arabia Saudita voglia controbilanciare la caduta delle esportazioni verso il Giappone con una maggiore quota verso l’India.


(1) Saudi Aramco è compagnia nazionale saudita di idrocarburi
(2) SABIC è una società saudita attiva nel settore petrolchimico