Prezzi del petrolio: ulteriori tensioni all’orizzonte
Libia e Iran fanno muovere i prezzi del greggio
Pubblicato da Claudia Ranocchia. .
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Le quotazioni del petrolio si trovano entrambe in backwardation:
la forchetta tra i due prezzi si amplia costantemente – sostenuta dai
maggiori rialzi dello spot rispetto a quelli del future.
A fine marzo il WTI è entrato in backwardation e da allora lo spot è aumentato
del +8.5% arrivando a 64 dollari al barile venerdì scorso. Nello stesso periodo,
il future è aumentato del +5% toccando i 62 dollari al barile – il disallineamento
ha portato ad un differenziale di 2 dollari.
Come si vede al grafico di PricePedia, il Brent è in backwardation dall’inizio
del 2019: lo spot è aumentato del 28%, passando da 56 a 72 dollari al barile di venerdì,
mentre il future è aumentato del +12%, da 58 a 65 dollari al barile. Gli aumenti dello
spot si sono inaspriti particolarmente nel mese corrente, tanto che il differenziale ha
raggiunto 7 dollari.
Prezzo giornaliero del petrolio sui mercati finanziari


L’aumento dei prezzi è sostenuto da una contrazione dell’offerta globale, dovuta a:
- le tensioni in Libia, che potrebbero causare nei mesi successivi una riduzione della produzione. Se così fosse questa sarebbe una prima battuta di arresto per l’offerta di petrolio libica, in crescita da due anni;
- una diminuzione delle scorte di shale oil americano (-0.1%), come riportato dall’ Energy Information Administration (EIA)
- le restrizioni dell’export di petrolio iraniano (-6% nel 2018) a causa delle sanzioni USA.
La settimana scorsa Reuters segnalava una riduzione dell’interesse da parte degli acquirenti nel comprare petrolio iraniano a causa di possibili future pressioni da parte degli USA su Teheran. Tensioni che si sono effettivamente materializzate questa settimana: gli USA hanno deciso di non rinnovare le deroghe per i paesi che potevano acquistare petrolio iraniano senza incombere in sanzioni (tra questi paesi c’è anche l’Italia).
La settimana scorsa si è segnalato che l’Arabia Saudita è il paese produttore più importante
nell’OPEC (per ulteriori approfondimenti si guardi al seguente
link).
Saudi Aramco (1), in particolare, sta facendo degli investimenti per espandere il suo potere nella filiera
post produttiva del petrolio. Nei mesi precedenti ha acquistato la raffineria sudcoreana
Hyundai Oilbank per un valore di 1.2 miliardi di dollari e ha acquistato Sabic (2), un gigante
nel settore petrolchimico. Inoltre, in quest’ultimo settore, Saudi Aramco sarebbe interessata
a rilevare una quota del 25% dell’industria indiana Relianca Industry – notizia esclusiva
del Times of India.
Nell’aria c’è molto fervore per questo investimento, poiché la domanda di petrolio indiano
è in crescita. Nel 2018 le importazioni di petrolio sono aumentate del +8%. L’EIA stima che
nel 2019 il consumo giornaliero di petrolio in India aumenterà del +4.2%, segnalando un ritmo
di crescita nettamente superiore al consumo del più grande importatore di petrolio saudita:
il Giappone. La domanda nipponica di petrolio è in flessione dal 2014 (nel 2019 la domanda è
stimata ridursi ulteriormente del -3%), per cui è probabile che l’Arabia Saudita voglia controbilanciare la
caduta delle esportazioni verso il Giappone con una maggiore quota verso l’India.
(1) Saudi Aramco è compagnia nazionale saudita di idrocarburi
(2) SABIC è una società saudita attiva nel settore petrolchimico