Il Corona Virus spaventa il mercato del petrolio

Gli effetti legati all’incertezza per un rallentamento della domanda globale superano quelli legati ad una riduzione dell’offerta

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La settimana scorsa il prezzo del petrolio perde l’ampio margine registrato durante le tensioni USA-Iran, sfiora i bassi livelli dell’inizio dello scorso anno, chiudendo in forte ribasso. Perdendo circa 4 dollari: il Brent chiude a 60.7 dollari al barile, il WTI a 54.2, l’Oman/Dubai a 57.6. A determinare questa dinamica sono i timori legati al corona virus, ovvero che l’epidemia potrebbe causare una frenata dell’economia globale e quindi della domanda di materie prime.

Grafico 1: Andamento prezzo del petrolio
Andamento prezzo del petrolio

Goldman Sachs ha paragonato l’attuale epidemia a quella del 2003. Per la banca il virus potrebbe causare una diminuzione dei consumi pari a 260mila barili al giorno, in conseguenza alla riduzione degli spostamenti e quindi una ricaduta sulla crescita economica. La differenza tra l’attuale epidemia e quella del 2003 sta nel ruolo che la Cina svolge rispetto ad allora. Il peso dell’economia cinese su quella globale è passato da 6% al 19% del PIL mondiale e nel mercato del petrolio è passato dal settimo posto a essere il primo importatore di petrolio (fonte IlSole24Ore, ExportPlanning). Per cui una caduta della domanda cinese rischia di fare cadere i prezzi del petrolio.
Il ribasso più intenso è stato mercoledì 22 gennaio: nell’arco di un giorno il petrolio ha perso circa -2%, il WTI è quello che ne ha risentito di più perdendo ben il -2.7%. Durante la settimana i ribassi sono continuati, venerdì le quotazioni hanno perso un altro -2%.
Il petrolio sembra quindi essere influenzato dagli effetti dell’incertezza legati ad un rallentamento della domanda, piuttosto che da quelli dell’attuale riduzione dell’offerta. In Libia manca il petrolio e quello iracheno sembra a rischio, le forniture di greggio dal Kazakistan alla Cina sono state interrotte dopo che è stato riscontrata una contaminazione in alcuni oleodotti – la stessa che aveva contaminato l’oleodotto russo lo scorso aprile -. Inoltre Venezuela e Iran non esportano.
Il rapporto dell’EIA di gennaio non prevede però una riduzione dell’offerta per il 2020, si stima che questa sarà in aumento rispetto al 2019 di +1.6 barili al giorno, pari a 102.37 barili. A sostenere l’aumento c’è l'inarrestabile crescita dello shale oil americano, in aumento di +1.7 milioni rispetto al 2019. Mentre l’offerta dell’OPEC subirà una lieve riduzione pari a -0.97 milioni di barili al giorno.

Nel grafico 2 è riportato lo scenario atteso dell’offerta per il 2020 e nel grafico 3 quello della domanda (sono stati considerati i principali paesi). I dati sono riportati in variazioni percentuali tendenziali.

Grafico 2: Previsione 2020 offerta
Prevsione per il 2020 dell'offerta
Grafico 3: Previsione 2020 domanda
Previsione per il 2020 della domanda

Il grafico 2 conferma quanto appena detto su USA e OPEC. Il Messico, alleato dell’OPEC, ridurrà la produzione mentre per l’altro alleato, la Russia, si prevede stabilità. Per Canada e Cina è previsto un aumento rispetto allo scorso anno rispettivamente del +3% e +1%.
Per quanto riguarda la domanda di petrolio, l’EIA stima un aumento di +1.34 milioni barili al giorno, sostenuto dalla domanda cinese in aumento rispetto al 2019 del +3.5%. USA e Canada rimarranno relativamente stabili, con una crescita inferiore all’1%. La domanda in Europa e in Giappone risulterà in diminuzione.