Il rallentamento globale oscura le aspettative di una possibile estensione dei tagli alla produzione

La settimana scorsa il prezzo del petrolio ha toccato il massimo da settembre, per poi ritirarsi

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Venerdì 22 novembre il prezzo del petrolio ha chiuso in lievissimo rialzo di qualche centesimo di dollaro in più rispetto a due settimane fa. La quotazione del Brent si è attestata intorno ai 63.4 dollari al barile, quella del WTI a 57.8 e quella dell’Oman/Dubai a 61.8.
Giovedì 21 novembre il prezzo del petrolio ha raggiunto il massimo da settembre, per poi ritirarsi il giorno successivo a causa dell’incombere delle preoccupazione per i colloqui tra Stati Uniti e Cina. Ad incrinare il rapporto tra le due superpotenze questa volta ci sono le tensioni ad Hong Kong. Ancora una volta la guerra commerciale ha eclissato le prospettive di una crescita globale, annullando gli effetti positivi sul prezzo, createsi il giorno precedente, per una possibile estensione dei tagli alla produzione dell’OPEC+.

Grafico 1: Andamento prezzo del petrolio
Andamento prezzo del petrolio

Mercoledì le scorte di petrolio statunitensi sono cresciute meno di quanto atteso. Questa debole crescita è dovuta ad una diminuzione delle scorte (-2.3 milioni di barili) dell' hub Cushing Oklahoma, l’hub di riferimento per eccellenza per il prezzo del petrolio americano (fonte Energy Information Administration). Questo avrebbe dovuto sostenere il prezzo, se non fosse stato per l’attrito generatosi tra USA e Cina. Le preoccupazioni per il rallentamento globale hanno generato una caduta del prezzo in media pari al -1.7 dollari. In un articolo di Reuters, riportato dal Nasdaq, si legge che gli esperti del commercio hanno avvertito che la phase one agreement potrebbe slittare al prossimo anno. Casus belli questa volta è stata l’approvazione di due progetti di legge statunitensi a supporto dei manifestanti di Hong Kong. Il Congresso infatti condanna i metodi repressivi, che ledono i diritti umani, usati contro la protesta democratica; questo ha suscitato grande disapprovazione da parte della Cina.
A tal proposito il presidente Donald Trump ha dichiarato di essere propenso ad aumentare le tariffe sulle importazioni cinesi se non viene raggiunto un accordo commerciale.

Giovedì l’annuncio dell’OPEC+ di una probabile estensione dei tagli alla produzione per altri tre mesi nella seconda metà del 2020 ha portato il prezzo sui massimi da settembre. Una fonte dell’OPEC ha dichiarato a Reuters che è richiesto un impegno rigoroso e necessario da parte di tutti, anche da chi non è conforme all’accordo stipulato a gennaio ovvero Iraq e Nigeria. Un approccio disciplinato da Iraq e Nigeria dovrebbe far ridurre la produzione di ulteriori 300-400.000 barili al giorno, portando a un mercato equilibrato nella prima metà del 2020. L'ufficialità o meno di questa notizia verrà data alla prossima riunione di dicembre a Vienna, per ora rimangono in vigore i tagli alla produzione di petrolio fino a marzo 2020. Putin, alleato per eccellenza dell’OPEC, dichiara il suo appoggio alle decisioni del cartello anche in contesti di difficoltà in quanto si sente di aver un “common goal” con le parti in causa. Anche se il presidente della federazione sostiene che sarà dura tagliare la produzione russa volontariamente nei freddi mesi invernali. Le gelide temperature in Siberia, dove la Russia produce due terzi del suo petrolio, rendono difficile la chiusura della Russia e il successivo riavvio dei pozzi nei mesi invernali.

In conclusione l’OPEC dichiara “Finora abbiamo due scenari principali: incontrarci a dicembre e prolungare gli attuali tagli fino a giugno; o rinviare la decisione fino all'inizio del prossimo anno, incontrarsi prima di marzo per vedere com'è la situazione sul mercato ed estendere i tagli fino alla metà dell'anno”.