Crisi delle commodity: per quanto ancora?

A differenza del 2016 i presupposti sono diversi: i prezzi potrebbero aver trovato un pavimento

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La situazione generale attuale dei prezzi delle commodity obbliga al confronto con periodi del recente passato in cui fenomeni economici e finanziari hanno determinato importanti crolli nei prezzi. In tal senso si ricordano i mesi a cavallo tra il 2015 e il 2016, momento in cui le principali commodity hanno trascinato verso il basso la maggior parte dei prezzi. Di seguito le dinamiche di alcune materie prime fondamentali per i mercati internazionali: petrolio, rame e coils laminati a caldo.

Grafico 1: Quotazione spot di petrolio, rame e coils

Quotazione spot di petrolio, rame e coils

Anche se l’intensità del trend negativo tra il 2015-16 e tra 2018-19 è simile, i prezzi restano attualmente su livelli più alti. Tra le ipotesi, per cui fenomeni di intensità simile hanno avuto diversi risultati, si suggerisce un miglioramento della capacità dei produttori di adeguare l’offerta rispetto a rallentamenti della domanda. Si sa per certo che a caratterizzare questi due periodi sono stati fenomeni di natura diversa: il primo di matrice finanziaria potrebbe aver richiesto un tempo maggiore di adeguamento dell’offerta rispetto al secondo, di natura invece economico-politica, che è stato preannunciato con largo anticipo con gli annunci del presidente Trump.

Gli indici aggregati dei prezzi, già presentanti nello scorso articolo congiunturale, mostrano chiaramente come le commodity stiano attraversando un momento poco felice con alcune materie in rallentamento (è il caso ad esempio del petrolio) e una stagnazione generalizzata.

Grafico 2: Indici aggregati totali

Indici aggregati totali

Se si considerano tutte le commodity, comprese le materie energetiche, sembra che il trend negativo, originatosi nella seconda metà dello scorso anno, sia ancora in corso. Se si escludono le materie energetiche, la cui dinamica coinvolge spesso le altre materie, e si considera quindi l’Indice No Energetici, il quadro appare diverso: la decelerazione della crescita potrebbe aver trovato un pavimento grazie ad una possibile ripresa della domanda mondiale.

Grafico 3: Indici Purchasing Managers' Index (PMI)

Indici Purchase Managers' Index (PMI)

Guardando ai Purchasing Managers Index (PMI) di USA, Cina, Europa e a quello mondiale, si delinea un trend negativo del PMI statunitense e soprattutto europeo; quello cinese sembra invece stabile. Il PMI è un indicatore tempestivo dei cicli economici focalizzato sul comparto manifatturiero internazionale e che va valutato però sulla base del suo livello soglia, 50: si nota che sia USA che Cina continuano ad attestarsi sul livello soglia, segnalando come era già successo a luglio, una sostanziale stagnazione, non trovandosi in fasi espansive o recessive. Il PMI europeo si trova invece, da febbraio, sotto la soglia, destando qualche preoccupazione per gli affanni della Germania produttrice e che ad agosto ha raggiunto quota 47. Il PMI mondiale (costruito come media dei 3 PMI), fermo ormai da maggio a 49, risulta di poco inferiore al valore soglia, trascinato soprattutto dalla performance negativa di quello europeo.

Nonostante i fenomeni economici e geopolitici che hanno rallentato la domanda mondiale (guerra commerciale, Brexit, crisi Iran-USA, tendenze sovraniste, ecc.) la situazione sembra ben diversa da quella raggiunta nei primi mesi del 2016, caratterizzati dal crollo dei prezzi delle commodity. La domanda cinese si ridusse improvvisamente a causa della bolla speculativa che nel 2015 ha travolto il mercato azionario di Shanghai. In questi mesi invece il Partito ha annunciato manovre espansive per sostenere la domanda e stimolare la crescita interna. Di seguito è proposto un grafico raffigurante l’andamento del commercio mondiale di materie prime industriali e naturali confrontato con l’indice di produzione mondiale.

Grafico 4: Indice produzione e commercio mondiale

Indice produzione e commercio mondiale

Il confronto risalta il trend positivo di medio-lungo periodo: l’indice della produzione, dopo il 2008-2009, non ha subito particolari flessioni, denotando una certa rigidità rispetto a fenomeni circoscritti e di breve periodo, come è stata la crisi borsistica cinese (2015-2016). Tali fenomeni si registrano invece nell’indice che rappresenta lo scambio mondiale di commodity. Questo, infatti, pur crescendo nel livello, ha registrato varie flessioni congiunturali: si delineano (come ci si aspetta) fasi calanti nella seconda fase del 2015 fino a inizio 2016 e nella seconda metà del 2018. Da marzo di quest’anno l’indice è in ripresa, facendo ben sperare verso una continuazione del trend positivo di lungo periodo.

Cina e Stati Uniti restano i principali acquirenti di materie prime quindi suscitano attenzioni particolari negli operatori economici. La guerra commerciale che li ha coinvolti è il motivo infatti del rallentamento della domanda mondiale che per via della contrattazione in corso continua a seminare incertezze sui mercati. Questi hanno reagito infatti “restando alla finestra” e generando di conseguenza una situazione di stagnazione generalizzata. Molto più volatile e repentina è invece una crisi finanziaria come quella del titoli subprime o della bolla speculativa a Shanghai. I prezzi non dovrebbero raggiungere il livello di depressione che ha caratterizzato il 2008-2009 o il 2016, poiché i presupposti del rallentamento odierno sono dunque diversi e forse gestiti in modo più efficace dall'offerta. Tutto ciò a patto che Trump decida finalmente di giungere ad un accordo commerciale con Xi Jinping così da scongiurare definitivamente il collasso dei prezzi.